Il Tamburino Sardo


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Rubrica Stanza di Ugo

La solitudine dei tamagotchi
(Azazello)

Me l'avevano detto che era così, e io che non ci credevo. C'avevano ragione, chi se ne intendeva, che li aveva già visti come funzionano e cosa fanno e non fanno. Prima di tutti mio figlio: “Se non li coccoli si ammalano; mica basta dargli da mangiare. No, quelli vogliono la tua compagnia, se no si sentono soli e si intristiscono. È così: lasciali per una settimana e li ritrovi che manco si alzano da terra.”
Ecco perché è duro avere a che fare con un tamagotchi: si affeziona e vuole sempre di più; non gli basta il cibo o la cuccia, no, dopo un po' ti chiede di giocare insieme e hai voglia di dirgli “
Dopo, dopo”: quello s'immusonisce – gli occhi da sarago in gloria – e tu ti senti di avergli spezzato il cuore in due, altro che storie.

L'altro giorno, ad esempio, avete visto che occhietti umidicci che s'era messo il nostro Governatore? Non c'era verso di consolarlo manco con lo slogan delle elezioni: “
Torna a sorridere, Ugo; non fare quella faccia.” Niente, manco a fargli vedere tutti gli assessori in fila gli veniva il buonumore, e sì che se non bastano quelli sei messo male davvero.
Nulla. Girava tra una finestra e l'altra di Villa Devoto e non trovava manco la voglia di convocare una Giunta; nemmeno di chiamare Medde per starlo ad ascoltare, che comunque un po' di tempo passa. Nulla. Un passaggio a sentirsi fischiare in qualche paese da quelli stessi che lo avevano votato sei mesi prima e che lo rivoteranno tra quattro anni – quando torna Berlusconi a dirglielo: non aveva voglia nemmanco di quello.

E che era successo? Colpa dell'Eni che aveva spento la luce a Porto Torres e mandato qualche migliaio di operai a tuffarsi da Balai? O forse di quei russi che prima dicevano “
Da da” e ora “No no” e si tirano indietro dopo che ci avevamo creduto tutti che veniva Putin in persona a salvare l'alluminio sardo? O proprio di quel birbante di Silvio, che a L'Aquila non l'aveva manco invitato, né a Tamagotchi né al sindaco della Maddalena, che sembra che si vergogni dei sardi con Obama e gli altri suoi amici importanti? No, non era quello che lo intristiva.

Era che tutti lo guardavano e pareva che fosse colpa sua. E che, le aveva mica fatte fallire lui tutte quelle fabbriche e quel polo nautico che era affondato prima ancora di nascere? Tutti però lo guardavano e c'avevano una faccia come se le cose le dovesse risolvere lui, come se solo perchè era governatore dovesse fare qualcosa – c'ha delle pretese la gente!
Lo guardavano in Consiglio regionale, e pure quelli della sua parte, tutti zitti aspettando che dicesse qualcosa; e pure i sindacalisti, che parlano sempre, adesso stavano muti come cefali che pareva lo volessero prendere in castagna appena diceva una sillaba sbagliata. E i giornali, anche loro, che tenevano sempre mezza pagina pronta per le sue dichiarazioni – ma che c'era da dire? Cos'è, è diventato proibito stare zitti?
Era triste, il presidente-tamagotchi, triste e solo perchè nessuno giocava più con lui; nessuno con cui fare festa assieme, nessuno da amare – gliel'avessero detto prima che era così brutto governatorare!

Poi, d'un tratto, l'intuizione: il click della mente che separa il banale dal genio, e nella sua notte brillò il sole ispirato della soluzione.
Tutti a Roma” si mise a urlare, “Tutti a Roma con me!”.
Sindaci e assessori, presidenti di provincia, di consigli e di circoscrizioni, consiglieri, delegati, incaricati e commissari, tutti con me, a Roma, a Roma.
Perché separare ciò che il destino ha unito? Perché insistere in stupide dispute tra maggioranza e minoranza, tra chi ha vinto e chi ha perso quelle elezioni lì di sei mesi fa, che chi se le ricorda più ormai? È una noia mortale questa politica fatta di chi dice una cosa e chi un'altra, di chi governa e di chi si oppone, di chi fa le scelte e di chi le contesta: uffa e strauffa!
Molto meglio andare tutti insieme a Roma, tutti tutti però, di destra e di sinistra, industrialisti e ecologisti, destri e mancini, sardisti veri, finti e clonati: tutti a sfilare e a protestare e a dire che non si può mica trattare così una regione, prima la coccoli tutta e poi lei si volta un attimo... e ti saluto.
Tutti in corteo, tamagotchi davanti e gli altri dietro, che manco l'Ottoemmezzo di Fellini, con fischi, trombette e tamburi, padroni e sindacati, i sindaci fascia-a-tracolla e i Quattromori ad aprir la processione: un popolo in marcia, che se Mao li vede qualche brividino sulla schiena ce l'ha pure lui ti dico.
Ora sì che sorrideva Tamagotchi, con quel suo sorriso franco, aperto, sereno che attraversa le onde del mare; un uomo è solo un uomo; un governatore è un uomo con una missione – altro che proposte, piattaforme, posizioni e palle varie: oltre, oltre l'angusto tran-tran della politica. Oltre gli sterili battibecchi tra maggioranza e opposizione. Oltre l'arida solitudine del potere. Lui voleva stare con tutti, a sorridere insieme, lontano dalla tristezza delle scelte contrastate, dei conflitti aspri, delle convinzioni contrapposte.

Basta così poco in fondo a rendere felice un tamagotchi: solo un po' di compagnia, due chiacchiere ogni tanto, una pacca sulle spalle ed un sorriso. E anche le crisi peggiori passano. Sì, si può. Si può continuare a governatorare.



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Complimenti, scritto bene assai.

Davide

Azazello, sei un fico.

stephendedalus


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