Il Tamburino Sardo


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Viva Bossi!

Rubrica bassa cucina

Viva Bossi!
(Azazello)

Quando qualcuno scriverà la storia d'Italia di questi anni parlerà certamente di Berlusconi, ma più senz'altro di Bossi: alla fine della giostra sarà lui a essere stato il più importante di tutti e sarà il caso di iniziare a farci i conti.

L'apertura di una sede della Lega Nord in Sardegna non va classificata come l'ennesima provocazione di una politica che ci ha abituati a scarti estemporanei, a colpi di scena che valgono lo spazio di un titolo sul giornale. Altre forze politiche – come il Movimento per l'Autonomia di Lombardo, ad esempio – faranno lo stesso, a coprire uno spazio che altri, qui, hanno lasciato desolatamente vuoto e la sorpresa sarà che queste teste di ponte troveranno terreno fertile, che ci saranno molti che useranno nuovi abiti per dare risposte nuove a domande che per anni si è lasciate senza repliche. Nella terra che ha conosciuto l'autonomismo più colto e alto d'Italia, la stagione federalista che nasce troverà interpreti inediti a riempirla di contenuti locali.
Ci saranno alti lai e strepiti dei vecchi sacerdoti, come si conviene quando un'epoca finisce ed un'altra ne prende il posto; chi rivendicherà primogeniture e maggiori diritti a rivestire quei ruoli. Ci sarà chi accuserà gli invasori di incoerenza, di inettitudine a rappresentare l'ineffabile sardità con strumenti concepiti forestieri. Ma alla fine chi avrà più filo tesserà il futuro e gli altri con la spola in mano.
È una buona notizia: per anni si è giocato a confondere le cose con le parole, a far credere che il federalismo avesse il passo del gattopardo, che la sussidiarietà fosse un'altra delle formule vuote dell'Europa dei burocrati, che tutto alla fine sarebbe passato comunque da Roma, potere e denaro, e i parlamentini di periferia si tenessero i loro privilegi vassalli, e i loro eletti che stessero sempre col cappello in mano davanti ai mammasantissima dei partiti centrali, che si erano presi il diritto di nominare i più fedeli al ruolo di deputati o senatori.
L'unico sasso negli ingranaggi della democrazia inesistente di questi anni l'avrà messo proprio Bossi, con le sue rozzezze e le ampolline e le sparate, a portare il federalismo a guastare i giochi di Bisanzio, e le periferie al centro della scena.
Spenta l'illusione che i partiti, privi dell'apparato ideologico, potessero davvero continuare a esaurire la sfera della politica come avevano fatto nel secolo scorso, che i significati di “destra” e “sinistra” fossero definibili per tradizione (o per memoria), il federalismo volgare di Bossi rappresenta l'ultima Thule della democrazia – che è quella cosa che cerca di coniugare potere e popolo, per intenderci. Coi suoi limiti, certo, con tutti i limiti di chi deve ancora fare i conti con la storia di violenza e irrazionalità che in Italia ha caratterizzato spesso la lotta politica (e che ha dato vita, tra l'altro, al ventennio fascista), ma anche con una speranza di futuro.
Quella speranza che oggi non trova altra sponda su cui poggiarsi, altra voce che non suoni falsa, altri interpreti che non appaiano profittatori, o mercanti, o ruffiani.
I federalisti sul serio, vestissero pure le ridicole casacche verdi in franchising, da queste parti sono benvenuti.

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