Il Tamburino Sardo


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Rubrica bassa cucina

A che serve un'Università?
(Giampiero Muroni)

L'indagine amministrativa che ha messo in subbuglio l'Università di Sassari cade nel delicato momento di passaggio dopo il lungo rettorato di Alessandro Maida, durante il quale si sono realizzati gli interventi oggi sotto osservazione.

Al di là delle eventuali responsabilità per le irregolarità ipotizzate dalla Ragioneria Generale, sulle quali è il caso di attendere i chiarimenti che lo stesso Ateneo vorrà fornire, l'occasione è buona per riflettere sul rapporto tra l'istituzione universitaria e la città in cui essa opera da quasi quattro secoli ma con la quale il dialogo appare talvolta difficile o confuso e confinato ad un livello che taglia fuori una larga parte della cittadinanza, come se l'Università fosse un ente le cui scelte non ricadono che al proprio interno.

Non è così. L'Università di Sassari ha le risorse per imporsi come uno degli attori principali di questa città, cosa che ha fatto da sempre, e non solo sul piano culturale, senza che però delle proprie azioni sia mai stata chiamata pubblicamente a dar conto per propri i meriti o gli eventuali demeriti.

L'esempio più macroscopico è uno di quelli discussi nel rapporto della Ragioneria: l'edificazione dell'enorme centro direzionale definito “Orto botanico” - ribattezzato da alcuni “Orto betonico”, per la gran mole di malta e laterizi utilizzati. Lo si potrà definire come un'opera architettonica di alto pregio o come un monumento che rompe l'equilibrio paesaggistico nella delicata zona di San Pietro in Silki, ma è certo che dell'impatto di quell'opera sulla città, Sassari non ha affatto discusso, dando anzi l'impressione di subirla come il pedaggio da pagare a un potentato, da criticare a mugugni semmai, senza però mai rischiare il reato di “lesa maestà” dando voce ai tanti che lo valutano come Fantozzi i film di Eisenstein. Su Piazza d'Italia è stato possibile costruire un referendum virtuale che ha appassionato i lettori de La Nuova; sulla muraglia rossa che ha modificato lo skyline occidentale sassarese no. Sia chiaro: non credo sia auspicabile un'architettura democratica che sottoponga preventivamente al vaglio generale i propri progetti, ma di qui a ignorare il giudizio popolare su ciò che si è realizzato il salto è grande.

L'impressione è che però di tutta la politica universitaria portata avanti in questi anni, la città e le sue istituzioni non abbiano trovato modo di dire alcunchè. Ad esempio sulla scelta di gemmare una serie di corsi nei comuni della provincia, con l'effetto di relegare un gran numero di giovani studenti nei propri paesi d'origine anziché accoglierli nella sede centrale dell'Ateneo. Non è in discussione la scelta didattica adottata, i vantaggi goduti dai ragazzi che hanno frequentato quei corsi a due passi dal liceo lasciato l'anno prima – anche se farebbe piacere conoscere i costi e i risultati reali di questa formazione “a domicilio”; ciò che pare notevole è il fatto che la città che ha preferito non accoglierli e ha accettato che l'Università li tenesse a casa loro, non abbia detto o fatto nulla per evitarlo, come se la popolazione universitaria, le generazioni di giovani che dal territorio vengono a vivere qui la propria educazione culturale e civile, fossero più un problema che un'opportunità.

L'Università ha fatto una politica rivolta al territorio – discutibile, ma reale; le Istituzioni politiche, su questo terreno, paiono arrancare quando non si dimostrano del tutto afone. Ad esempio – ancora – sulla rivendicazione portata avanti da Nuoro per la fondazione di un'università del territorio centrale: possibile che a Sassari sull'argomento dobbiamo leggere solo le opinioni di qualche professore? Al commercio, al mercato immobiliare locale, il fatto che sorga un ateneo barbaricino non cambia niente? O vogliamo far credere che la questione si risolva all'interno dell'Accademia?

La realtà sotto gli occhi di tutti è che la nostra città per i giovani e per gli studenti universitari in particolare non fa praticamente nulla. Il numero di alloggi pubblici dedicati a loro sarà forse superiore alla media nazionale, ma a guardarne l'ubicazione già si capisce come di loro Sassari non sa che farsene. La disattenzione totale poi verso il fenomeno degli affitti in nero – come se non fosse possibile incrociare i dati delle utenze per arginarlo in termini più fisiologici – dà la cifra della loro rimozione dal tessuto civile. Nei centri che hanno la fortuna di ospitare generazioni di cittadini in formazione, futuri professionisti e intellettuali, si bada a fornire loro servizi o comunque a garantire la dignità dello status di studente; da noi evidentemente si ritiene di confinarli in ambiti in cui disturbino il meno possibile.

A Sassari – pare – si diventa cittadini quando si inizia a lavorare e a comprare casa: solo a quel punto l'interesse economico prevalente (dell'industria edilizia) intercetta l'esigenza meritevole di attenzione. Prima di allora si sta nel limbo dell'aspettativa di diritti.

Le responsabilità non sono solo della politica. Basta confrontare il livello dei servizi offerti dall'Università di Sassari nel proprio sito Internet rispetto a quelli analoghi di altri atenei per capire come il focus dell'attenzione non sia la didattica (né la ricerca), ma più probabilmente quell'intreccio di relazioni di potere e di gestione di esso che va sotto il vago e suggestivo termine di “affari”. La liceità delle operazioni svoltesi sotto la lunga legislatura di Maida – liceità auspicata, ma oggi in discussione – non le esime da un giudizio severo, quando si valuti la subordinazione nella quale sono state poste le esigenze degli studenti. Un esempio – l'ultimo – può essere quello delle condizioni di fruibilità e agibilità delle segreterie a loro dedicate: un ente che tratta in questo modo la propria utenza dimostra di non averla in gran conto.

Ci troviamo oggi nella curiosa congiuntura di un rettorato all'avvio e della fine della legislatura per il Comune e la Provincia.Po trebbe essere l'occasione per far entrare dentro le prossime campagne elettorali i temi che le logiche di rispetto tra “poteri” hanno finora escluso dal dibattito democratico.

Ad esempio la gestione della transizione economica del nostro territorio, in cui le scelte industriali dei decenni passati mostrano con un'evidenza drammatica il proprio respiro corto. La presenza di un'Università forse può consentire la costruzione di alternative più coraggiose, il disegno di un altro sviluppo possibile, che altrove non avrebbe quel background di cui si sente il bisogno.

La riconversione della chimica di Porto Torres, la gestione del Parco dell'Asinara, il governo dei flussi turistici veicolati dai nuovi vettori low cost, sono tutti temi che potrebbero essere argomento di dialogo tra Politica e Cultura, ossia tra Comune, Provincia e Università. Tre temi sui quali si formino proposte differenti sulle quali chiedere il voto ai cittadini.

Una chiamata in causa reciproca, insomma, in cui tutti gli strumenti – umani e culturali – dell'Università locale siano in campo, compreso il ruolo che possono svolgere gli studenti, potrebbe essere un'occasione di sviluppo del dibattito politico.

L'alternativa è che si continui a giocare a non disturbarsi a vicenda, come siamo abituati.

E allora sarebbe difficile capire cosa sia cambiato davvero oltre al nome del Rettore.


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