Il Tamburino Sardo


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miele amaro

Rubrica Storie di letti

Garibaldi e il miele amaro
(Pietro Giuseppe Serra)

Paolo Lisca, Edizioni doraMarkus, pagg. 126 Euro 10

Garibaldi eroe dei due mondi, Garibaldi Generale, Garibaldi e la Repubblica Romana, Garibaldi in Aspromonte, Garibaldi e l’impresa dei Mille. Quante altre cose ha fatto Garibaldi?

Del suo dorato ritiro a Caprera abbiamo letto sui libri di scuola. Del suo morire con lo sguardo rivolto alla Corsica, che voleva italiana, ne ha fatto un‘icona il fascismo. Ma poco, veramente poco, si sa di come sia vissuto nell’Arcipelago, se si escludono gli stereotipi che lo vogliono agricoltore solerte e felice.

Che cosa pensava, che cosa progettava il Generale nel corso di quei lunghi anni? Ce lo racconta, anche se con un’angolazione specifica e quindi parziale, Paolo Lisca, un giovane studioso di Tempio Pausania, in uno stile scorrevole e niente affatto accademico, nelle pagine di questo libro che svolge, quasi fosse un romanzo, la storia di un’impresa fallita.
Un’impresa che nulla ha di militare, che anzi poggia le sue fondamenta nelle idee umanitarie, e se volete politiche, di un Giuseppe Garibaldi che aveva visto fiorire vigne e aranceti sui luoghi dove un tempo regnavano cisti e lentischi.

I risultati di Caprera gli facevano sognare il riscatto della Sardegna, che lui conosceva bene, e che vedeva piagata da miseria e malaria. A questo compito si sentiva votato anche dal suo mandato parlamentare, avendo egli accettato l’elezione nella circoscrizione di Ozieri.

Ma facciamo un passo indietro. A Caprera il nostro eroe passava le giornate lavorando nei campi, organizzando il lavoro dei suoi dipendenti e badando alla modernizzazione della sua azienda. Possiamo ricostruire la sua vita grazie alle memorie del Canevazzi, databili alla metà degli anni sessanta del XIX secolo.

Tuttavia Garibaldi non si limitava a fare l’agricoltore, e non perché si lasciava prendere dal ruolo di parlamentare, rispetto al quale anzi sempre avuto un atteggiamento snobista, ma perché tesseva relazioni con uomini importanti e continuava a fare progetti, vuoi per prendere Roma, vuoi per veder migliorare le sorti delle plebi italiane.

Dalla sua isoletta il Generale immaginava di poter realizzare la bonifica delle terre della Sardegna, in buona parte abbandonate e paludose, e migliorare così le condizioni morali e sociali dell’isola, trascurata dai governi e preda di speculatori senza scrupoli.

L’idea era semplice. Si trovavano i soldi fra gli imprenditori liberali, si incaricavano persone di grande esperienza (oggi le chiameremmo “tecnici”) e si convogliavano le giovani generazioni di contadini, che dal Nord prendevano la strada dell’America, verso la Sardegna.

L’idea delle bonifiche oggi ci fa sorridere, o forse inorridire (in quegli anni sparirono dei veri e propri paradisi ambientali) ma, ai tempi, era quanto di meglio la cultura progressista aveva saputo produrre. Di tentativi di bonifiche in Sardegna ce n’erano stati tantissimi. Paolo Lisca ce ne dà un quadro d’insieme, breve ma efficace. Proprio in quel periodo, il Sulliotti aveva fondato una società, con sede a Genova, per “rimettere a coltura” le zone umide di Perfugas e di Santa Maria Coghinas. La società godeva del favore delle istituzioni, ma era destinata a fallire perché priva di saldi fondamenti economici.

Garibaldi, insomma, si guardava intorno e dopo aver individuato circa duecentomila ettari di terreni incolti e trovato gli sponsor presso alcune banche inglesi, si rivolgeva al conte Francesco Aventi della Roverella, espertissimo in bonifiche agrarie e collaboratore di un giornale scientifico. A lui affidava la direzione e la realizzazione del progetto. Tutto faceva ben sperare, perché in quegli anni una Commissione d’inchiesta aveva condotto studi sulle condizioni drammatiche della nostra isola creando delle attese nei confronti del governo che avrebbe dovuto approvare una convenzione per garantire gli investimenti. Ma il progetto si scontrava subito con gli interessi, le manovre, le paure dei due pilastri del mondo politico di allora: Agostino Depretis e Quintino Sella. Le trattative venivano portate per le lunghe, i banchieri inglesi si vedevano costretti ad investire altrove i loro capitali ed il grande progetto di Garibaldi finiva nel nulla.

Falliva anche il tentativo di un progetto minore, affidato alle società operaie, che aveva il compito di fungere da traino per l’impresa più grande. La dolcezza del sogno, in conclusione, si infrangeva definitivamente contro l’amara realtà delle beghe politiche e del malgoverno.

Fin qui il racconto di Paolo Lisca. Ma il libro offre anche un secondo livello di lettura, perché si correda di un’ampia documentazione e di una notevole bibliografia. L’una e l’altra consentono al lettore di inoltrarsi in percorsi più vasti e di verificare la giustezza di una tesi appena accennata: non si voleva ostacolare un progetto, ma si voleva fermare un uomo che per credito e prestigio, escluso il Re, surclassava tutti i papaveri politici del suo tempo


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