Il Tamburino Sardo


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Il referendum del 5 ottobre 2008

Rubrica bassa cucina

Il referendum del 5 ottobre scorso
(Luigi Agus)

Il referendum del 5 ottobre scorso è stato un flop clamoroso. I sardi aventi diritto che sono andati a votare sono stati davvero pochi, appena il 20%. Se poi si analizza il voto territorialmente si scopre pure che le storiche roccaforti del centro-destra (Olbia, Arzachena, Cagliari, ecc.) hanno registrato perfino percentuali più basse (tra il 16 e il 19%), mentre, paradossalmente, le percentuali più alte si sono registrate nelle aree di centro-sinistra (Carbonia, Ogliastra, ecc.).

È evidente che qualcosa non quadra. Si è parlato di una lotta interna nel centro-destra per la leadership che vedrebbe ancora Pili tra i papabili, e proprio questo referendum (da lui fortemente voluto) avrebbe dovuto essere la sua incoronazione ufficiale come candidato del Pdl. Da qui l’ostilità, nemmeno nascosta, di altre aree del Centro-Destra. Ma basta ciò a spiegare il motivo per il quale i sardi abbiano disertato le urne, sia in questa consultazione che nella precedente riguardante la Statutaria?
Credo proprio di no. Anche perché il mal contento nei confronti della Giunta Soru serpeggia da tempo e, credo, la maggior parte dei sardi non vede di buon occhio gran parte delle iniziative di quel gruppo (compresi importanti pezzi dello stesso PD). È sotto gli occhi di tutti, ed è un dato obbiettivo, l’incompetenza con la quale Soru e la sua Giunta si sono mossi in questi anni promulgando leggi poi risultate illegittime, illegali e a volte perfino incostituzionali.

Proprio l’incostituzionalità della legge finanziaria, ormai decretata, è il segno palese di questa incapacità manifesta si seguire le regole da parte di quella Giunta. Non solo. L’aggravante, oltre al fatto che ciò ha prodotto un buco di oltre un miliardo di euro, sta nel fatto che si è atteso più di un anno per approvarlo, il che ha significato un esercizio provvisorio lunghissimo che ha bloccato investimenti e risorse ingentissime.

Vi sono poi altre iniziative come la tutela del colle di Tuvixeddu a Cagliari che, condivisibili nel principio, hanno poi finito per favorire la speculazione perché dichiarate illegittime dal TAR per ben due volte. In quel caso se si fossero prese in considerazione veramente le aree archeologiche con carte recenti (e non quelle del 1956) probabilmente il Tribunale non avrebbe bocciato il decreto e le cubature sarebbero state ridotte, con beneficio di tutta la comunità.

Vi è poi la vergogna della cosiddetta Tassa sul Lusso, sbagliata in ogni sua forma e dichiarata incostituzionale. Anche in questo caso, per ben due volte, questo governo regionale non è stato in grado di scrivere una norma che rispettasse i principi della nostra carta fondamentale. Vi sono poi una serie di iniziative minori che, pur meno rilevanti, tuttavia denotano la totale incompetenza non solo in materia legislativa e normativa, ma anche nelle materie specifiche trattate.

Uno per tutti è la legge 15/04/99 n. 10 riguardante lo stemma, il gonfalone e la bandiera della regione, modificata parzialmente dalla delibera, fortemente voluta da Soru, del 25 gennaio 2005 con la quale si “uniforma” il logo della Regione alla sola bandiera. Un fatto inusuale e irrituale, perché lo stemma in araldica rappresenta l’istituzione, mentre la bandiera il popolo. Due cose distinte con significati diversi che vengono confuse per mera ignoranza crassa delle regole minime dell’araldica. E che chi ha redatto quella delibera, con la relativa relazione, non abbia alcuna nozione della materia lo si evince dalla descrizione che si fa della bandiera: i mori, si legge, sono rivolti a destra nella bandiera, mentre a sinistra nello stemma concesso con DPR del 5/7/52. Orbene la prima norma dell’araldica vuole che la lettura di un vessillo sia fatta non già dal riguardante, ma dal retro, così che la destra araldica corrisponde alla sinistra di chi guarda e viceversa. Ne consegue che la descrizione fatta nella delibera sia al contrario di quella reale!

Le defaillance di questo tipo sono infinite se ci mettiamo ad esaminare tutta l’attività legislativa Soru. Un altro esempio è senz’altro la legge 20/09/06 n. 14 riguardante “Norme in materia di beni culturali, istituti e luoghi della cultura”, come se la Regione avesse competenza in tali materie! Si sa bene che il cosiddetto Codice Urbani (D. Lgs. 22/01/04 n. 42) delega alle Regioni la tutela dei beni paesaggistici e non dei beni culturali, che rimane in capo allo Stato, distinti all’interno del macro ambito di “patrimonio culturale”. Non è il caso di analizzare in questa sede gli articoli della Legge Regionale in questione, ma vorrei far notare come all’art. 4, comma 1, lettera o) si legge testualmente che la Regione “contribuisce alla definizione di linee di indirizzo e di standard tecnici concernenti l’intervento pubblico in tema di beni culturali a livello nazionale”. Un simile abominio giuridico si commenta da sé!

Ma torniamo al referendum e alla ragione dell’astensione. Oltre i fattori che si sono elencati prima, ritengo che abbia avuto un ruolo determinante il fatto che questa consultazione risulti estremamente tardiva rispetto ad un provvedimento del 2004 che avrebbe dovuto essere superato entro un anno con il PPR (Piano Paesaggistico Regionale), che tutt’ora attende di essere approvato. Probabilmente a caldo (entro massimo un anno) il quorum non solo sarebbe stato superato, ma probabilmente si sarebbe raggiunta una percentuale quasi plebiscitaria, soprattutto in quelle zone dove il mal contento è più accentuato come la Gallura.

Siamo in questo caso davanti ad una incapacità manifesta da parte del Centro-Sinistra di scrivere leggi coerenti col dettato costituzionale e in linea con quelle nazionali, ma siamo davanti ad una altrettanta incapacità di risposta dell’altra parte politica che non si sofferma sui principi violati, ma si esibisce in esercizi di demagogia spicciola. In effetti la legge salva-coste, proprio per il suo carattere transitorio, serviva a tutelare temporaneamente il paesaggio, che è un ambito di competenza esclusivo della Regione. Un’idea abbastanza condivisibile è stata quella di interrompere altre concessioni in attesa di un piano, tuttavia errata (anche per principio) è l’idea di bloccare anche quelle già deliberate; così come gravissimo è il fatto che il PPR non sia stato redatto e approvato nei tempi stabiliti. Questo fatto ha prodotto un gravissimo ritardo nella programmazione economica in settori chiave come il turismo e i servizi, non già per l’interruzione di una speculazione (che in verità non c’era più di tanto), quanto per l’assenza di una normativa certa di riferimento.

Un discorso simile vale anche per gli altri due referendum (quelli riguardanti Abbanoa). Corretta è certamente l’idea di razionalizzare il servizio idrico regionale, assurdo invece è determinare un unico ambito territoriale, là dove esistono problematiche estremamente differenziate da una zona all’altra dell’isola. Vi sono infatti aree dove l’acqua abbonda e ha un costo ridotto, aree invece dove scarseggia e il suo costo diventa più elevato e dove il servizio non è altrettanto efficiente. Costituire poi una SpA che gestisca l’acqua, risorsa fondamentale, mi pare non eticamente corretto. Le società per azioni, infatti, devono produrre utili, un fatto questo che distorce il concetto di acqua di tutti e per tutti. Le spese infatti per la depurazione e il trasporto, a carico degli utenti, dovrebbero essere ripartite al solo costo, magari con una società no-profit, e non produrre utili attraverso improprie plusvalenze.

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