Il Tamburino Sardo


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Rubrica Finestre

Il costume tradizionale di Osilo
(Giovanna Elies)

“…
Quasi ogni villaggio della Sardegna veste le sue donne in diverso modo e la tavolozza più tizianesca del mondo basterebbe appena a tanti quadri ricchi di colorito e di fantastiche combinazioni. A Osilo ho veduto le donne vestite a festa con insolita pompa, con fascette rosse tutte adorne di merletti, con gonne scarlatte, e sul capo una pezzuola scarlatta di panno orlata di seta di vivaci colori…” Emerge da un’inchiesta del deputato Paolo Mantegazza in “Profili e paesaggi della Sardegna del 1869”.

Ma, vediamo finalmente nel particolare questo vestiario che tanto ha colpito e colpisce l’immaginario collettivo e che per descriverlo e raccontarlo si sono versati fiumi di inchiostro.
Già nelle varie stampe degli anni che vanno progressivamente dal Settecento alla prima metà dell’Ottocento (vedi acquerello di Manca di Mores), il vestiario tradizionale delle donne di Osilo è presentato nella sua veste più semplice ma aggraziata: la gonna di panno rosso scarlatto lunga fino ai piedi, finemente plissettata fuorché sul davanti, e ornata in basso da una piccolissima balza di nastro di seta o raso color rosa, giallo o viola. Il capo è avvolto da un velo di lino, finemente ricamato (a intaglio e a punto raso), che incornicia il viso e ricade morbidamente sulle spalle e sul petto.

A metà del secolo sulla gonna come sulla cappetta (o mantiglia o cappa) cambiano completamente le dimensioni della balza in raso ed il colore. Al posto del semplice nastro di seta compare una striscia larga 20 – 25 cm color ambra chiara, completamente ricamata a macchina (composizioni floreali di fiori piccoli inseriti in una ghirlanda continua) con fili di seta di non più di tre colori.

Nella seconda metà dell’Ottocento, le nuove tendenze in arrivo dalla Francia costringono il panno scarlatto, i teli di lino nel dimenticatoio delle tante cassapanche delle case di Osilo; emergono, infatti, in tutta la loro audacia nuovi e preziosi tessuti: il terziopelo (Tulziopela, nella variante sarda), un tessuto di seta terzanella ricavata dai cascami delle prime lavorazioni il cui filo è estratto dalle scorie della seta naturale dopo il primo trattamento ed il tulle (tipico tessuto leggero usato soprattutto per veli e tendaggi originario di Tulle, città della Francia centromeridionale, ora capoluogo del dipartimento di Corrèze) che più morbidamente e docilmente del lino avvolge e fascia i visi delle nostre donne.

A dare sempre più risalto ai ricami – dice Laura Ruiu – (che recentemente ha guidato un gruppo di adolescenti a esplorare le sfere del vestiario tradizionale osilese), a ingrandire i ricami, a creare nuovi motivi floreali come tralci sinuosi, dolci corolle, melograni è l’architetto Rubbiani (Bologna 1848 – 1919, appassionato restauratore ed archeologo, in continua ricerca del bello estetico) che si rifà ai ricami più in uso nella Francia settecentesca, ricami che non passano inosservati all’occhio vigile delle donne di Osilo tanto che una certa Adolfa Chessa già dal 1866 li fa suoi e li presenta nei ricami dei nuovi costumi.

A impreziosire i ricami della balza e a nascondere le eventuali cuciture è sempre una particolare bordatura, chiamata frivolité, e ottenuta lavorando il filo di seta con un ago a navetta.

Da questo momento fino ad oggi il vestiario tradizionale si è assestato su canoni che difficilmente subiranno mutamenti radicali, di sicuro qualche aspetto verrà perfezionato grazie alle nuove tendenze ed alle nuove tecniche di ricamo che comunque, oggi più che mai, cercano e traggono l’ispirazione da quell’antico vestiario tanto caro alle nostre nonne e sempre così singolare.

Di singolarità ed eleganza parla il Canonico Liperi–Tolu, nel suo vol. Osilo del 1913
“singolarità perché in tutta la Sardegna non ve n’è altro, non solo che lo imiti, ma che neppure lo ricordi, sebbene con molte varianti; esso è solo, tipo unico, inimitabile non che nel confezionarlo ma persino nell’indossarlo… l’eleganza, poi, sta nel taglio, nell’attillatura, nella cura dei singoli dettagli, nei merletti e ricami in seta e in oro, in tutto quell’insieme armonico che fa del nostro costume l’incanto dei forestieri e gli dà la preferenza ed anche il premio in tutte le gare ed esposizioni…”

La gonna (sa faldetta) di velluto rosso granato o con tendenza al violaceo è arricciata in vita, nella parte posteriore, con un sistema che consente la formazione di 20-25 pieghe tubolari tutte rigorosamente uguali mentre nella parte anteriore, delimitata da due aperture laterali che la separano e la distinguono dal resto della gonna. In basso è impreziosita da un gallone di seta o raso di colore bianco o ambra, ricamato a mano e bordato da un festone chiamato rùsciu o, nel linguaggio popolare, nic-nac.

Sul capo, un velo bianco di tulle che circonda il viso e copre gran parte del petto. Sopra, la cappetta (sa cappitta), manto a forma di semiluna dello stesso colore della gonna, impreziosito dal medesimo gallone di raso e incorniciato da un festone uguale a quello della gonna.

A completare la maestosità di questo vestiario concorrono in modo determinante i capi indossati sotto la cappetta: il velo (su ‘elu), il corpetto (su groppittu), il busto (s’imbustu).
Leggiamo direttamente le pagine del Bresciani che, meglio di altri, ha saputo descrivere il “drappo bianco” (il velo) delle donne di Osilo “
Le donne di Osilo hanno per acconciatura in capo un drappo bianco ad asciugatoio di finissimo lino, che oggidì è anco di velo trasparente, n’appuntano l’un capo sopra la tempia diritta, sale a sommo i capelli, e di là si avvia per l’orecchio sinistro sotto la gonfiatura del mento, ove lascia pendere davanti in sul peto una ricascata a bavaglio. Indi ben panneggiato, con dolce movimento rimonta l’orecchio diritto, ripassa sul capo e s’appunta sopra il tempiale bianco, rimanendo il restante a svolazzare dietro le spalle e soggolo davanti né più né meno come le clarisse, le donne di Castello, del Carmine, della Visitazione…

E’ un passo interessantissimo questo del Bresciani, esprime a pieno l’idea madre del vestiario osilese: rigore e rispetto nello stile e nella tradizione ma anche estrema eleganza e pudore.
Il corpetto (su groppittu) di panno o di velluto, è , generalmente, indossato a pelle o su una camiciola di tela, ricamato sul davanti con fili d’oro o di seta ( riproducenti l’arco, il calice ed il cuore), sulle maniche, tagliate dal gomito al polso e caratterizzate da undici lunghe asole, è ornato da undici bottoni d’oro o d’argento filigranato a forma vagamente di “ ghianda”.

Il busto (s’imbustu), confezionato in broccato o damasco finissimo, generalmente bianco a fiori stampati o ricamati in oro, si indossa sopra il corpetto, è costituito da due mezze guaine trattenute sul dietro da un sistema di nastri di raso (in genere color rosa), è imbottito con stecche di palma ai lati e due di olivastro sul davanti.

Completava l’addobbo - scrive il Liperi-Tolu - un paio di scarpe di corame sardo, preparato con un preistorico sistema di conciatura, con taglio a orecchio, assicurate sul dorso del piede con un bottone di corame( sta per cuoiame, cuoio lavorato) duro o di cuoio intrecciato”.

Nella prima metà del Novecento, le sorelle Altea per prime e Giuliana Cambilargiu poi con i loro preziosi ritocchi ai ricami valorizzano ancora di più il costume di Osilo concedendogli quel tocco magico, quella foggia esaltante che lo consacrerà definitivamente come il più bel Vestiario tradizionale femminile di tutta la Sardegna e fors’anche del mondo.

Non è infatti frutto del caso che proprio una delle ultime, delle più note e accreditate ricamatrici di Osilo, Giuliana Cambilargiu, negli anni Sessanta sia stata contattata dalle sorelle Fontana e abbia ricamato per loro alcuni abiti destinati alle star più note del momento.

Se fin qui abbiamo trattato della grandeur di una singola foggia di vestiario che, è inutile ripetere incanta l’occhio dell’osservatore, non è certo perché le altre fogge rispecchiano le cadenze della quotidianità.

Nulla, qui ad Osilo, ha sapore di stantio, di consueto, di dejà vu; è un paese, questo, antico e moderno, aspro e dolce, sonnacchioso e attento, ama il silenzio della antica dignità ma, sempre, con lo sguardo vigile, rivolto verso l’orizzonte.

Il vestiario giornaliero “
l’espressione non inganni - scrive lo storico del costume F. Pilia - è un costume elegante e di riguardo non meno di quello festivo anche se non altrettanto sontuoso”.

Le numerose varianti- gonna lunga nera con scialle nero in lana tibet per tutti i giorni;
- gonna lunga nera in crespo di lana con scialle rosa o beige o azzurro, impreziosito da lunghe frange di seta dello stesso colore;
- gonna lunga nera, sempre in crespo di lana, con scialle bianco senza frange ma ricamato lungo i bordi.

Lo scialle, quello nero quotidiano ha la funzione fondamentale di coprire un vestiario personalizzato o da strapazzo, quello colorato della passeggiata serale o addirittura della domenica, così come “
Il soggolo delle badesse e le nonne dei chiostri che hanno l’aspetto di salmeggiare in coro” (Bresciani) ricadeva morbido sul davanti incorniciando il viso senza però costringerlo nella fasciatura.

Quest’ultimo tipo di gonna, del vestiario giornaliero, non è arricciata in modo semplice o casuale (a s’affassù, nella variante sarda – traduzione letterale di “così come capita”) ma subisce lo stesso procedimento della gonna di velluto, di cui abbiamo già lungamente parlato. All’altezza della vita vengono effettuate ben tre arricciature, allineate in senso verticale seguendo il motivo di tre punti larghi ed uno stretto, in modo che all’interno dei tre punti larghi la stoffa formi un motivo ad arco che determina la piega e che si allunga per tutta l’altezza della gonna.

Ne deriva un capo geometricamente composto, che non si ferma più in alto della caviglia (come nella maggior parte dell’isola) ma procede oltre fino al malleolo, lasciando scoperto solo il dorso del piede.

Un particolare decisamente importante nel vestiario tradizionale delle donne di Osilo è il grembiule (su panneddu). Accessorio di rigore veniva indossato su qualunque tipo di gonna (di orbace, di panno, di crespo), confezionato in tessuto di tulle o seta, era l’ultimissimo capo indossato prima di uscire di casa e presentarsi agli occhi vigili e critici della popolazione.
Osilo, elegante e discreto, con le due torri del Castello aggrappate al cielo, le stradine strette, acciottolate, le antiche chiese, i corrali e le corti, vive e macina le tante stagioni intrecciando, con fili di seta ieri – oggi – domani, in una sorta di “
fascino cui ci avvolge la vita su questi monti, che per noi hanno gli incanti del verde immenso, più che l’umbre distese, mentre sale d’ogni parte l’alito grande del mare…” (Sassari 13 settembre 1913, Giovanni Zirolia)





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